fine democrazia
così almeno come ce l´hanno presentata o, quantomeno, come l´abbiamo concepita e finora vissuta, la democrazia non esiste più. Quanto abbiamo creduto contenesse non è stato riscontrato. E’ vero, schiavi e despota non ci sono più - per modo di dire - sempre che tv, informatizzazione, burocrazia e capitalismo non li abbiano egregiamente sostituiti. Corruzione materiale e morale hanno cariato le fondamenta del grande sogno egualitario. (Gli anarchici lo sapevano da mo’). L´incastellatura d’apparenza che ancora regge è abitata dalla politica commerciale che ha come ideali - bene che vada - un progresso legato al Pil e una curva verso l´alto che vorrebbe dimostrare un benessere strettamente vincolato all’accumulo.  Ma c’è un procedere che si avvale del sentire in sede del più rinomato sapere. L’epoca razionalistica, eleggendo a supremo e a dogma la sua verità tecnologica e scientista, sta mostrando il suo inumano limite. Come dice Bauman, nella sua società liquida le appartenenze corrispondono ad interessi sempre più di alta frequenza cioè, edonistici, materialistici, commerciali e di potere. Cioè a dire che i valori “prepolitici” di Massimo Fini non fanno più definitivamente testo, non sono più costituenti della nostra cultura. La democrazia è finita perché inumana da un lato, in quanto prodotto di una concezione razionalistica dell’uomo e anche perché la sua nuce sentimentale, cioè il suo bisogno di lealtà non è più nei nostri opulenti corpi. Ma gli uomini non sono ratione sono sentimenti, carne ed estetica. Da lì creano il razionale, non viceversa.  In questo spazio qualche spunto per dare voce ai nostalgici di umanesimo. 
 
18.tutto un popolo 220713

c´è tutto un popolo. È quello sospinto dalla marea del benessere come seconda macchina, da ogni tipo di elettrofìdomestico, dalla soddisfazione di entrare in agenzia di viaggio, da quella di aver scelto la tariffa migliore, o quella che aspetta i saldi. È il popolo che per alchimia tutta sua (così come noi per la nostra tutta nostra) non ha davvero capito che le fondamenta scricchiolano. Non ha davvero capito che i pluriterremoti sparsi per l´Italia non sono che l´esoterico annuncio di un urlo disperato di un dolore che li lascierà increduli. Quel popolo pensa che la democrazia, la moralità, la serietà, la ricchezza dell´abbondanza siano ancora lì, in attesa che passi il momentaccio. 
Ma le sorprese sono sorprese proprio perché non si è saputo cogliere quelle sfumature che comunque le anticipano.
È quel popolo, inetto a leggere che il tachimetro segna da tempo una velocità per la quale il baratro non è più entro il margine di sicurezza.
È quello inetto a leggere opportunamente che decrescita è salvezza, non paura.
È quello che dopo essere stato soddisfatto dalla caduta del comunismo, ora crede ancora che il capitalismo possa restare un caposaldo della democrazia.
È quello che senza averci troppo riflettuto, resta convinto che con qualche ritocco legale ed economico la situazione si risollevarà.
È quello che vede l´italia ma non l´islam, la Cina, la Turchia, l´India, l´est Europa. Che è sì europeista, ma senza avere inteso in che frullatore ci ha messo la forzata globalizzazione. Forzata solo per un motivo, perché ha reso sinonimi gli interessi delle nazioni con la loro sola valenza economica. Perché, perciò, ha snaturato l´uomo della sua natura più ancestrale.
 
Oligarchie private sostituiranno gli stati?
Avranno i loro eserciti? 
Spaccheranno gli interessi?
Renderanno sacra la propria mercificazione?
Gli stati ne garantiranno i mercati?
Le mafie saranno finalmente alla pari con le altre forze dominatrici? 
 
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